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Perché può essere così difficile cambiare idea?: il BIAS DI CONFERMA

Perché può essere così difficile cambiare idea?: il BIAS DI CONFERMA

Gli esseri umani sono soggetti a numerosi bias sistematici nel giudizio (Tversky and Kahneman, 1974), la maggior parte dei quali dovuti a processi inconsci. I bias e le euristiche sono scorciatoie di pensiero che hanno il vantaggio di semplificare la complessità della realtà e i processi decisionali, garantendo un utile risparmio di energia psichica attraverso queste strategie inconsapevoli.

Il bias di conferma (confirmatory bias) è un errore cognitivo che porta, nel processo di acquisizione di nuove informazioni, a selezionare e ad attribuire maggiore senso e credibilità a quelle che confermano l’ipotesi di partenza e a ignorare o sminuire quelle che la contraddicono: un pregiudizio che si manifesta nella raccolta dei dati, come una cecità parziale che impedisce di osservare i fenomeni da più punti di vista.

Se, da un lato, tale meccanismo di semplificazione può alleggerire i processi di ragionamento e consentire all’individuo di preservare la propria identità personale garantendogli coerenza, dall’altro, l’esclusivo riferimento alle prospettive che alimentano il suo punto di vista preesistente può allo stesso tempo precludergli la possibilità di cambiare idea.

Come è possibile proteggersi da questo rischio?

  • Considerando e mantenendo la consapevolezza di essere potenzialmente soggetti, come tutti, a questo tipo di distorsioni quando giudichiamo qualcosa e ci formiamo un’opinione/abbiamo una convinzione a riguardo
  • Coltivando il dubbio e il senso critico
  • Ricercando attivamente le condizioni per le quali la nostra tesi non è valida piuttosto che le prove a supporto
  • Ponendosi “buone” domande

L’ARTE DELLE DOMANDE: UNA BUONA RISPOSTA INIZIA CON UNA BUONA DOMANDA!

“Tendiamo a focalizzarci sulla ‘risposta giusta’ piuttosto che sulla scoperta della domanda giusta” (Vogt et alii, 2003:2)

Perchè tendiamo a dare precedenza e a sovrastimare il valore delle risposte rispetto a quello delle domande? Eppure molte delle più grandi scoperte sono iniziate con una bella domanda!

Possiamo fare alcune ipotesi.

La nostra cultura è orientata alla competizione e alla performance. Di fronte a un problema siamo educati a dirigere il nostro sforzo attentivo e di concentrazione sulla ricerca rapida di una soluzione. La risposta socialmente premiata e personalmente più rassicurante è quella semplice, immediata e che non lascia spazio a dubbi e a incertezze. Dentro quell’area grigia del ‘non sapere’ spesso non ci sentiamo comodi perché avvertiamo una forte minaccia: quello che abbiamo imparato e che ci viene ricordato continuamente è che dobbiamo uscire il più velocemente possibile da quella valle sconosciuta e senza certezze per non farvi più ritorno.

All’interno di questa cornice di contesto ci sono poi diversi gradi di sensibilità individuale nel mostrare questa tendenza. La maggiore o minore propensione a tollerare un certo grado di incertezza dipende infatti da come si combinano tra loro gli ingredienti personologici, familiari, situazionali, legati al ruolo (ci si aspetta di solito ad esempio che un manager o un esperto abbia le risposte), può cambiare nel tempo e in relazione agli eventi, essere più evidente in alcuni contesti e meno o niente affatto in altri.

Come ci si muove nell’incertezza? Che strumenti abbiamo?

Una buona domanda può essere una torcia che illumina una stanza buia, una chiave che apre una porta (a volte ne servono diverse prima che si apra!), un sottomarino che va in profondità, un ponte tra i pensieri e tra le persone, tra ciò che conosciamo già e quello che non conosciamo ancora.

Le giuste domande possono motivare, ispirare nuove idee e cambiare la percezione di un problema o di una situazione. Essere consapevoli del tipo di domande che si pongono e dei loro effetti consente di scegliere lo strumento giusto, al momento giusto.

“Se avessi solo un’ora per risolvere un problema, e la mia stessa vita dipendesse dalla soluzione, passerei 55 minuti a capire quale sia la domanda giusta da porsi, perchè una volta scoperta questa potrei risolvere il problema in meno di 5 minuti”

Albert Einstein

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