LE FORME DELLA COMUNICAZIONE CHE POSSONO AVVELENARE LA COPPIA
Gli studiosi della ‘Pragmatica della comunicazione’ ci hanno insegnato che ogni atto comunicativo contiene sempre due aspetti:
un livello INFORMATIVO, relativo a ciò che diciamo, all’informazione, al contenuto e uno di RELAZIONE: come lo diciamo, con il tono di voce, l’intonazione, l’espressione del viso e del corpo,…
Il modo in cui diciamo qualcosa comunica all’altro come interpretare il nostro messaggio: è una comunicazione sulla comunicazione (una ‘metacomunicazione’).
È la forma a dare senso e significato al contenuto: posso avere diversi tipi di liquido ma se li metto nello stesso contenitore, tutti assumono la stessa forma.
L’effetto emotivo – del contenitore – è di gran lunga prevalente in termini comunicativi rispetto al contenuto.
La stessa parola, pronunciata con un tono e un’espressione diversa, assume significati completamente diversi…
Quello che dico potrà dunque anche essere ‘ragionevole’ ma il modo in cui verrà accolto dall’altra persona – la reazione emotiva che susciterà in lei – sarà coerente con la forma che avrò adottato per comunicarlo.
Ragione ed emozione non vanno sempre d’accordo e di solito è la ragione a soccombere.
Alcune modalità comunicative – non nella loro singola espressione episodica ma se insistenti e ripetute nel tempo – risultano tossiche per la relazione di coppia, finendo per produrre effetti non desiderati e fallimentari, spesso proprio quello opposto rispetto all’intenzione iniziale di risolvere un problema o di migliorare un aspetto della relazione.
Eccone alcune.

1) PUNTUALIZZARE
Come succede spesso, «è la dose che fa il veleno»: cose buone producono effetti cattivi semplicemente a causa del sovradosaggio, proprio come un farmaco somministrato in dosi eccessive si trasforma in veleno.
Nella giusta quantità, puntualizzare i fatti è una modalità di interazione che consente di evitare equivoci o incomprensioni e di sapere cosa davvero sente e pensa l’altro. Ma se diventa ridondante, anche se quanto precisato viene razionalmente riconosciuto come ragionevole dal/dalla partner (sul piano del contenuto), può produrre, sul piano della relazione, reazioni emotive di fastidio e di irritazione e un azzeramento del desiderio.
Sottoporre di continuo ad analisi razionale lo scambio emotivo-affettivo rischia infatti di ridurlo a qualcosa di freddo e distante e di portare nella relazione affettiva un metodo comunicativo proprio del mondo scientifico, basato sui fatti e non sugli aspetti di calore e di coinvolgimento che ne costituiscono il fondamento.

2) RECRIMINARE
Sottoporre continuamente il/la partner a un processo nel quale vengono sottolineate le sue colpe introduce un’atmosfera relazionale che ricorda più la prassi giuridica che una relazione sentimentale. Per quanto possa nascere da un’intenzione legittima di chiarificazione, tende a produrre nell’accusato/a un sentimento sgradevole contro cui s’infrangeranno le nostre ragioni.
Anche in questo caso, la forma della comunicazione e la sua modalità emotiva trasformeranno un messaggio potenzialmente corretto sul piano formale in un atto relazionale che sposta l’attenzione dai contenuti – sui quali si può sempre trovare un accordo – alla sfera emotiva.
Il risultato più probabile non sarà l’accettazione delle nostre ragioni: il sentirsi inquisiti e condannati provocherà reazioni emotive di forte difesa. Il piano della disputa si sposterà dal livello logico – nel quale sono in questione soltanto dei semplici fatti – a un livello relazionale in cui le emozioni in gioco saranno probabilmente il rifiuto e la stizza. Si potrà anche essere convinti, a livello razionale, che il partner abbia ragione quando recrimina, ma al tempo stesso, ci si sentirà spinti sul piano irrazionale a reagire come se si fosse degli innocenti condannati iniquamente.

3) RINFACCIARE
Quella che si rischia di stabilire nel tempo tra chi rinfaccia e chi subisce il rimprovero, è una forma di complementarità patogena della comunicazione che tende a strutturarsi come un vero e proprio copione interpersonale del tipo vittima/aguzzino, all’interno del quale colui/colei che rinfaccia si pone come vittima dell’altro (e da questa posizione tenta di indurre il/la partner a correggere i propri comportamenti) e chi viene colpevolizzato, trovandosi a questo punto nella posizione di aguzzino, tenderà a reagire rifiutando o aggredendo l’altr*, che in questo modo si sentirà ancora più vittima, scatenando un’ulteriore reazione di rifiuto o di aggressione e così via in una disastrosa escalation, un circolo vizioso dal quale, una volta innescato, potrà diventare difficile uscire.

4) PREDICARE
Esaminare e criticare il comportamento dell’altr* sulla base di ciò che è giusto o ingiusto a livello morale provoca spesso un desiderio (anche in chi non ce l’avrebbe) di ribellione e di trasgressione delle regole morali poste a fondamento della predica.

5) “TE L’AVEVO DETTO!”
Tra le forme meno articolate ma ugualmente in grado di provocare con grande probabilità di successo l’irritazione e l’allontanamento del partner poiché altamente evocative di sensazioni di irritazione e di squalifica ci sono le espressioni pronunciate in seguito a qualche accadimento spiacevole del tipo «Te l’avevo detto!»/ «Lo sapevo…»/ «Vedi? Non mi hai voluto dare ascolto».
Alla rabbia e alla frustrazione di aver commesso un errore si somma infatti quella conseguente al fatto che l’altro faccia notare di averlo commesso per non avergli dato retta (ammesso che questo sia vero e non sia solo una sua impressione). Pronunciare queste frasi ci trasformerà probabilmente nel parafulmine della rabbia del/della nostro/a partner, al quale diamo (a volte generosamente) la possibilità di dirottare verso di noi tutta la carica che aveva contro di sé a causa del suo fallimento.

6) “LO FACCIO SOLO PER TE!”
Dichiarare un sacrificio unidirezionale nei confronti dell’altro, se rappresenta una modalità ripetuta nel tempo, lo pone in una posizione di debito e di inferiorità, in quanto «bisognoso» dell’atto altruistico che, se non richiesto, può risultare irritante in quanto causa di una reazione emotiva ambivalente: dovrei ringraziarti per la generosità ma sono in difficoltà in quanto non è stata da me né desiderata né richiesta.

7) “LASCIA… FACCIO IO”
Se, in maniera sistematica, ci si sostituisce all’altro nell’eseguire un compito, l’atto di cortesia e attenzione nei suoi confronti, che a un livello più superficiale di comportamento comunica una buona intenzione, finisce per veicolare, a un livello emotivo più profondo, un sotterraneo messaggio di squalifica che, se reiterato, può diventare nel tempo molto distruttivo: lascia fare a me perché tu non sei capace.

8) IL BIASIMO
Il biasimo è una sequenza di comunicazione che spesso contiene una parte nella quale ci si complimenta con l’altro e una nella quale si afferma che però avrebbe potuto fare di meglio, di più o che ciò che ha fatto non è abbastanza («è bellissimo caro, ma come hai fatto a dimenticare che a me piacciono i girasoli?» / «va bene, però avresti potuto fare di meglio…»). Il biasimo è una modalità di comunicazione potenzialmente molto distruttiva.
Conoscere queste forme del comunicare serve a riconoscerle e a evitarne un uso inconsapevole che nel tempo può risultare dannoso per la salute della relazione.
Bibliografia
P. Watzlawick, J.H. Beavin, Don D. Jackson “Pragmatica della comunicazione umana”, Astrolabio, 1967.
G. Nardone “Correggimi se sbaglio”, Ponte delle Grazie, 2005.
P. Watzlawick “Change; principles of problem formation and problem resolution”, 1974